Gigliola Tallone 7 ottobre 2008 info@archiviotallone.com
Raffaello Franchi e il suo omaggio ad Agar
Articolo in Solaria e due poesie inedite ad Agar
Raffello Franchi dedica ad “Agar poetessa” un intervento critico il dicembre 1928 in Zibaldone, rubrica della rivista Solaria.
Aveva conosciuto a Firenze Virginia Piatti Tango, in arte Agar, e stretto amicizia coi nipoti di Virginia, Teresa e Cesarino Tallone. Teresa è stata l’amica più cara tra tutte a Sibilla Aleramo, fino alla sua precoce morte nel 1933.
Più strettamente Franchi era amico del ventenne Cesarino Tallone, in congedo militare dopo il ricovero nell’ospedale di Ravenna, unico superstite del suo plotone tragicamente falciato dal fuoco amico. Cesarino, anche lui ragazzo coltissimo e intraprendente, e all’epoca con velleità di poeta, era stato ospite della zia, con brevi assenze, nella sua casa di via Della Fornace, 9, da metà settembre 1915 a tutto il 1916 e parte del 17.
A Firenze Sibilla Aleramo gli affidò la traduzione dell’Emile di Rousseau. Una sua poesia “Trincea”, inviata con una lettera da Sibilla a Francesco Mariano, è conservata presso la fondazione Conti.
Tra le numerose cartoline di Teresa a Sibilla, tre parlano di Franchi, dell’ 1,10 e 23 giugno 1916: “Franchi è ricordato da Cesarino continuamente” “saluta Franchi” “Saluta Franchi e ringrazia per le sue parole”. (Fond. Gramsci)
E Franchi, superato il trauma dell’abbandono, resta amico di Sibilla e non dimentica i suoi giovani amici, forse più cari a lui perché avevano condiviso il breve ed esaltante momento dell’innamoramento: in una lettera da Firenze del 1919 scrive “Dalla Contessa Castiglione ò incontrato una strana ragazza, tutta giovanezza e slancio. Mi sono ricordato Di Teresa, e Cesarino…”(lettera da Firenze, del 30 aprile 1919, Bruna Conti, Sibilla Aleramo e il suo tempo, Feltrinelli, 1981)
Naturalmente i Tallone, la madre Eleonora e i suoi figli, e quindi anche la sorella Virginia, erano al corrente delle tempestose relazioni della loro cara amica e confidente Sibilla, e non ignoravano quella col sedicenne Raffaello Franchi.
Sibilla si tuffava nei suoi amori con l’innocenza e la vulnerabilità di una adolescente, prendendosi sempre la responsabilità degli insuccessi e delusioni, ma procurando anche talvolta molto dolore. La sua compulsione amatoria, che talvolta agli occhi dei suoi amici intimi rasentava il masochismo, era bilanciata dalla sincerità scoperta e assoluta, dalla generosità senza pari, dalla poetica dignità. I Tallone l’hanno molto amata e consolata nei momenti difficili.
Raffaello era un ragazzo intelligente e pieno di talento, frequentatore dell’ambiente culturale fiorentino, in cui si lanciava con piglio disinvolto, come dimostra l’invito indirizzato a Virginia, che all’epoca aveva quarantasette anni
“Questo sabato ore 14
Agar cara, venite domani. Vi aspetto a casa, dalle 13 alle 14. Parleremo di tante cose serie-
Le mani, aff.mo
Raffaello non d’Urbino”.
Non c’e’ l’anno, quindi potrebbe essere posteriore al ‘16, ma difficilmente anteriore. Comunque il 1915 Franchi non avrà ignorato, quanto tutta Firenze, il gesto eclatante di ribellione di Virginia, da convinta pacifista. A una manifestazione della Croce Rossa, per la quale prestava servizio volontaria, davanti ai reduci feriti e mutilati e alle autorità, irritata delle esaltate e ipocrite dichiarazioni di amor patrio e sacrificio, gettò a terra la bandiera italiana, aggiungendo che sarebbe stato evitato tale massacro se fosse stato ascoltato Giolitti. Anche il libro di Virginia, Dal diario di un’infermiera, uscito a puntate il 1917, in piena guerra, su Rassegna Nazionale di Firenze, poi ristampato il 1919, non era passato inosservato, così come il suo credo pacifista, che si legge nella cronaca cruda dell’esperienza personale a contatto dei feriti di guerra.
Sicuramente l’informato Franchi poi non poteva ignorare il Lyceum di Firenze, quale centro culturale, in cui Virginia era socia dal 1913. In effetti il 4 e il 21 gennaio 1924 sui “Bullettini del Lyceum di Firenze”, viene riportato nelle Notizie e rendiconti delle Sezioni 1924: “Raffaello Franchi, Segretario zelantissimo della Corporazione degli Artisti, parlò davanti un pubblico intelligente e attento di Un secolo di pittura italiana fino ai giorni nostri…” (Lyceum di Firenze)
Nè probabilmente ignorava l’amicizia di Virginia con Gina Ferrero, e in particolare il grande affetto per il figlio Leo, nelle cui camera dell’Ulivello era ospitata, quando Leo era assente. Una posteriore testimonianza di questa stretta amicizia, è l’invito di Gina a riordinare il lavori di Leo alla sua morte, e, a Parigi, esule Virginia, nei primi mesi del ’34, le mise a disposizione lo studio Di Leo in via Lhomond,35. (Archivio Centrale di Stato, Arch. Vieusseux, e altre fonti bibliografiche, Archivio Tallone)
Fatte queste premesse, la mia riflessione sulla critica del dicembre 1928, in Solaria, lo stesso mese in cui Virginia è iscritta al Casellario Politico Centrale, riguarda la scelta delle poesie che cita, in gran parte pubblicate ne La Riviera Ligure, nella raccolta dal titolo “Autoritratti in abbozzo”, del settembre 1912.
“Pur qualche volta adorno la testina tutta capelli”; “Io prendo, se permetti, i tuoi colori”(Al mio pittore); “S’io son caduta nell’abisso orrendo de la sventura”, poesia questa apprezzata da Boine in Plausi e Botte, rubrica della rivista La riviera Ligure - come riporta Franchi - e “Io sono un’acquaforte assai marcata”.
Tra le altre citate, “Al mare” era invece stata pubblicata nell’Illustrazione Popolare dell’agosto 1911, e delle due riguardanti l’amore materno, “o bimbo o bimbo, miracolo vivente” e’ stata pubblicata col titolo “Inno al bambino”, mentre “dormi, o figlio, v’e’ del cielo…” si trova tra la poesie dattiloscritte dalla stessa Virginia, e non vi è indicazione che sia stata pubblicata.
Per assonanza, queste due sono probabilmente del 1914, scritte alla nascita del figlio Rori.
Franchi estrapola anche dalla poesia “Badate v’e’ un anima che trema in questi fogli”, che si trova nei dattiloscritti di Virginia, e ancora non vi è riferimento alcuno della sua pubblicazione.(1)
Insomma, Franchi, il 1928 parla delle poesie di Agar scritte quasi vent’anni prima, e per farlo, sceglie l’anno in cui si e’ definitivamente trasferita da Firenze, dopo essere stata inseguita dalla polizia politica tutto il 1927 nei suoi spostamenti tra Firenze, Milano e Sanremo, dove si sistema a metà ’28 nella casa di via Cavallotti 84.
Pacifista attiva in ambito internazionale nella WILPF, (Women’s International League for Peace and Freedom), Virginia, unica delegata italiana, si era recata a Washington al congresso svolto dall’1 al 7 maggio 1924, a quattro mesi dalla perquisizione del gennaio nella sua casa di via Fornace, dove vennero rinvenuti opuscoli di Pax International (la casa editrice del testo WILPF). La qual cosa non la distolse dall’intraprendere il viaggio. A Washington le venne affidato l’incarico del coordinamento della stampa pacifista internazionale e, al ritorno in Italia, pubblicherà il resoconto dell’esito del congresso su La Vita Internazionale del dicembre 1924., con il nome in cifra, V.P.T.
Il 1927 venne scelta come delegata del WILPF per rappresentare la Lega alla Baskerville Conference di Londra, ma le venne ritirato il passaporto.( A.C.S e bibliografia)
Da questa data è una persona “bruciata”, la sua corrispondenza aperta e fatta proseguire, gli amici e conoscenti sottoposti a controlli.
Perche’ Franchi scrive della sua poesia in quel momento durissimo della sua antica amica?
Torniamo al 1916, suppostamente l’anno della loro conoscenza. Franchi nella sua esposizione in Solaria inizia con queste parole:
A queste cose pensavo quando, un pomeriggio rivierasco ormai lontano, m’accadde di riconoscere la poesia della signora Agar. Completamente donna sino a raccogliersi e farsi dimenticare nelle piu’ umili e caritatevoli, e materne opere donnesche…”
Possiamo supporre che abbia conosciuto la sua poesia attraverso “La Riviera Ligure”, oppure che abbia avuto un incontro con Virginia a Oneglia, da Mario Novaro, col quale Virginia e’ in corrispondenza dal 1912 al 1918, e dal quale si reca in visita di tanto in tanto. (Fond. Novaro)
Quella parola “donnesche” sembra ripresa proprio da una presentazione di Virginia, della quale conservo una brutta copia autografa, non datata, che finora pensavo rivolta proprio a Novaro, per la sua attinenza con la prima lettera di presentazione, ma potrebbe invece essere una lettera a Franchi:
“Gli scritti che presento non hanno alcun valore autobiografico: ci tengo a dirlo però che son donneschi, e perchè sinceri nella osservazione tutta mia della vita che mi circonda, rappresentano lunghi momenti di sosta e di riposo nel tormento interiore, quando la mia interrogazione non dentro di me ma a ciò che mi attornia può diventare celia o pietà umana. Cosi’ io non posso offrire che spunti, in attesa di quella cosa nuova che sarà la possibilità di offrire, se mai potrò averla, non queste gocce di cavo profondo, ma un’opera in cui potrò far vibrare il pensiero e offrire le mie esperienze come una coppa per la mia ultima sete e fare sempre degli schianti del dolore, la favilla lucente.”
Franchi, che conosce, come abbiamo visto, Virginia nel periodo della passione per Sibilla, totale e fulminante come sono gli amori degli adolescenti, la frequenta anche nella piu’ nera disperazione, quando viene abbandonato da Sibilla per Dino Campana.
Dedica due poesie a Virginia, scritte su un quaderno in cui lei raccoglie le dediche di amici artisti e poeti. Una delle delle due poesie di Franchi – più propriamente la definirei una lettera poetica - è la diciasettesima dedica ed è datata 16 XI 1916.
Con l’eccezione delle dediche delle compagne pacifiste scritte a Washington, e poche altre, le dediche sono in gran parte dei frequentori della sua casa di via Fornace a Firenze. La prima poesia di Franchi è la sesta dedica, e fatalità vuole, precede la dedica di Dino Campana, che fu ospite di Virginia tra aprile e inizio maggio 1917. Ma questa e’ un’altra storia.
Cosi’ la prima:
Ad Agar
Oh fatemi sentire che il mondo
è grande,
e che ognuno ignora qualche
tragedia-perche’ io possa ricostruire
e morire cantando
non seguitare a vivere per essermi
un giorno stranamente dimenticato di morire
Raffaello Franchi
La seconda dedica, datata 16 XI 916, è una lettera poetica dedicata ad Agar, alla sua accoglienza consolatoria, alla sua bravura di pianista, all’Arno che scorre vicino a via Fornace. Non c’e’ dubbio dell’intimità, dell’amicizia, della confidenza del giovanissimo Raffaello per Agar.
Ad Agar
Quando il pianto il dolore la gioia son tasti di un pianoforte
e li puoi dominare, in giro per la tua citt’, addolorato di luce,
d’abbandono, ti puoi affacciare alla vita di tante famiglie, di tanti riposi, aver la carezza d’una fanciullezza colta in un
barbaglio, bever la contentezza d’una vita intera in un lampo,
e dover fuggire, eterno vedovo in braccio al mondo, che
ritrova i mormorii del suo fiume, la freschezza delle sue campagne,
oh, non lascerai nulla morendo, bimbo, ghiotti occhi che
non vi stancate di guardare eppur possedete,
sapete la circolarita’ della gravitazione, che la fine dei mondi non c’è. Azzurro, amore, musica. E poi?
Io so quanto lunga può essere la vita d’un uomo. Voluttà
d’un focolare, di due mani che dividono una chioma. Sorta,
nella contemplazione, nella pienezza che non si svolge, come vi leggevo dianzi:
“come più non posson punire
due mammelle ricolme di piacere”
Attimi. Eternità. E bianchezza uguale di vie. Identità, eterna,
di freschezze, mormorii.
Sapete? Essere soli, abbandonati.
Tornare. La morbidezza del vostro piano. Sentircisi, dissolversi come nell’incantamento del focolare.
Ma fra poco grido. Rincaserò che dovrò lasciare alla sua corsa
il ruscellio morbido dell’Arno. Morire?
Raffaello Franchi
16 XI 916
Avrà letto, Sibilla, questo scritto del povero Franchi abbandonato? Sapeva certo quanto dolore gli avesse provocato, tanto che nei suoi diari ha scritto: “aveva sopportato con infinita abnegazione d'essere sacrificato all'amore per Campana... e ancora Raffaello m'ha amato come forse nessun altro, forse come neppure Cena...»
Io credo che la frequentazione di Raffaello e Agar non si sia fermata così, il 1916, credo che Franchi sapesse della sua militanza politica, pacifista e antifascista. Penso che dopo un periodo di collaboratore di riviste di tendenza futurista, certamente lontana da pacifismi, come “L’Assalto”, solo in Solaria, inaugurata due anni prima, in questa rivista che dichiaratamente ma morbidamente distanzia la letteratura dalla ideologia politica, e in quella direzione è la sua virata, può parlare della poesia della sua amica, può offrirle un omaggio all’amicizia, al suo coraggio, alla sua dedizione a una grande causa, per la giustizia, per la libertà, per la pace, a cui tutto sacrifica, anche il proprio talento, l’amata Firenze e l’amata poesia.
Ricorre però alla poesia delle prime pubblicazioni, e non può far altro, perchè la censura è in agguato, Virginia Tango Piatti il 5-12-1928 viene iscritta al casellario politico centrale come “antifascista schedata, iscritto rubrica frontiera”. (2)
Come avrebbe potuto pubblicare un brano di questa poesia di Agar ?
Il Silenzio
“...Santa saresti ne la nostra età
voce di folla, stampa, se la grande
mission comprendessi. Colpa e danno
invece sei, che’ la tua voce spande,
venditrice di scandalo, ogni inganno
ogni triste sozzura, ogni viltà…”
oppure
A Dante
O grande poeta accigliato, oggi t’han fatto diventare un ninnolo,
un ninnolo di cartapesta per qualche salotto borghese
insieme con le ballerine sciupate, con le chineserie alla moda.
Altri t’ha messo in mano un gagliardetto
per mostrarti, a braccetto
coi prodi d’oggi, tutti in coda,
fascista più vero e maggiore.
Su su, a farti onore, benchè un pò vecchio, a cantare anche tu “giovinezza”(…)
oppure
l’attacchino
Attacca il manifesto politico, senza guardare,
prendi quel che t’han dato, poi che tu devi obbedire.
Attacca, imbrattati, suda(…)
Attacca le altrui frasi reboanti. Verrà, o forte giovane, la giornata festosa di maggio, in cui potrai pensare(…)
O avrebbe mai potuto Franchi commentare:
E io vi dico, compagni:
L’avvenire che attendiamo non sarà di chi potrà meglio tracciar per il poi la via dei tornaconti, lo schema teorico pratico, la documentazione cerebrale delle altrui colpe, la tabella delle sue necessità delle sue rampogne e del suo odio
accumulato nell’impotenza di quest’ora.
Ma l’avvenire sarà nel gesto
impetuoso impulsivo diritto(…)
per la sola forza del sentimento
ancora genuino come natura gliel’offerse,
per la sola immensità del suo sdegno.”
Oppure
Albo di giovani Morti, di cui i giornali fan vanto(…)
e impreca, spaventevole come lo spettro di Duncano
contro questi fiacchi uomini civili che ti sospinsero al martirio,
e ora ti guardano annoiati
sfogliando la gazzetta, mentre cercano il listino di borsa.
Il destino di chi sfida il potere, più della persecuzione, è l’isolamento, la morte tra vivi. Così sarà per l’amico intimo e lontano parente di Virginia, Roberto Bracco, per la sua intransigenza intellettuale cancellato dai cartelloni dei teatri. Nè probabilmente Franchi ignorava la modestia di Virginia, che lo stesso Bracco le addita come un difetto:
“Voi - per un eccesso di modestia - (la modestia in voi è un vero difetto, una vera deficienza) - avete rifiutato di comparire come collaboratrice. Certo, sarebbe stato simpatico d’afficher la collaborazione se potevamo pubblicare un intero volume fatto…a quattro mani.”(A.C.S.)
Virginia non smette di produrre, ma è un fantasma, ed ha rischiato d’esserlo fino ai posteri, se non l’avessi liberata da una condanna ingiusta di lunga, lunghissima conseguenza.
E ho incontrato fiori d’amicizia, nelle lettere di personaggi di grande spessore morale e intellettuale, e un fiore d’amicizia è questo dell’amico Raffaello Franchi, tra i pochi che l’ha ricordata sulla stampa, forse l’unico, comprensibilmente evitando di porre dati biografici e ricordarne le opere di giornalista, traduttrice, scrittrice e poetessa, per non attirare le ire della censura politica.
Se pochi, solo gli amici in Solaria, e certamente Leo Ferrero, l’avranno riconosciuta in quell’anno 1928, è a lei che Raffaello Franchi ha rivolto il suo pensiero, all’amica Agar che ha scritto di sè stessa:
“...io sono troppo donna, ripeto, per mettere il sogno d’arte in prima linea dinanzi alla vita e alla creatura umana. Perciò, quanto alla gloria, oh, amica mia, ridiamone insieme!”
Gigliola Tallone
(1)La raccolta di poesie col titolo Autoritratti in abbozzo, è pubblicata sul numero 9 del mese di settembre 1912 de La Riviera Ligure e segue di poco la pubblicazione del racconto L’opera, agosto 1912. Solo due poesie sono intitolate, “Al mio pittore” e “A Cecilia Deni”. Vengono numerate, escludendo la prima, Al mio pittore, che resta senza numero, con numeri romani da I a VIII, come se si trattasse di nove poesie. In realtà la poesia accennata da Boine come degna di nota, “S’io son caduta nell’abisso orrendo de la sventura…”, qui separata in due parti numerate VII e VIII, come due distinte poesie, nelle carte dattiloscritte di Virginia conservate dalla nipote Francesca, è una sola lunga lirica, con piccole variazioni di parole e punteggiatura, rispetto a quella pubblicata. La poesia che inizia “No, non son bella, è vero. Assai me lo dice lo specchio, vecchio nemico dell’adulazione…”, segnalata col numero 1 in La Riviera Ligure, settembre 1912, è stata pubblicata anche in Varietas casa e Famiglia dell’aprile 1912, col titolo Se non son bella... dove è firmata Virginia Piatti Tango, e mostra alcune variazioni nel dattiloscritto. Sempre in Varietas casa e famiglia, altre poesie recano la firma Virginia Piatti Tango. In tutte le altre pubblicazioni si firma Agar. Lo pseudonimo biblico e’ sicuramente assunto solo dopo la separazione e l’allontanamento dal marito, avvenuta tra il 1908 e il 1910.
Tentare la datazione certa richiede veramente gran salti mortali, anche di quelle pubblicate, raccolte da Virginia nel “libro dei ritagli”, che riporta poesie pubblicate, ritagliate da riviste e incollate in un quaderno, tra le quali alcune segnalate come “Alassio 1911”, alcune con il nome della rivista, e altre senza data e menzione dell’editore. Restano poi altre poesie dattiloscritte dalla stessa Virginia, conservate dalla nipote, ed alcune trovate da me nelle carte di famiglia ad Alpignano, di cui solo poche con contesto rivelatore utile alla datazione. La prima poesia pubblicata, di cui vengo a conoscenza da una lettera di famiglia, e rinvenuta in ricerca bibliografica, e’ del 7 maggio 1905 “In morte della giovinetta Irene Tallone”, e’ firmata Parigi Virginia Piatti Tango.
“Buona”, direbbe zia Virgo, sono poesie e l’età loro conta poco. Sembra un difetto di famiglia, anche mio nonno Cesare diceva che data e titolo sui quadri sono piuttosto inutili.
La successiva pubblicazione su La Riviera Ligure, 1913, aprile, n.16 è una raccolta di poesie numerate dal numero I al IV, raccolte col titolo “Dal Diario” Ma il freddo mondo non lo sparà, Shelley. Tra le poesie dattiloscritte, si trova, con piccole variazioni, una poesia che fu inviata, scritta a penna, a Mario Novaro, non pubblicata, sotto la dicitura “Dal diario” che inizia col verso “Cuore che aspetti? Fantastichi Ancora?..”. anche presso Fondazione Novaro, autografa.
L’ultima poesia pubblicata su Riviera Ligure risale al n.5 del gennaio 1914 ed è La voce, sotto il titolo Maternià.
Inno al bambino si trova nel “libro dei ritagli”, senza indicazione utile a rintracciare la pubblicazione.
A Dante ; il silenzio; L’attacchino furono pubblicate, si trovano nel suo libro dei ritagli, ma non vi è indicazione dell’edizione. L’attacchino e A Dante sono firmate con le iniziali VPT
E io vi dico compagni si trova nelle poesie dattiloscritte, come Albo di giovani morti, e non vi è indicazione di pubblicazione.
Probabilmente il numero delle pubblicazioni di poesie è superiore a quanto ritrovato nella mia ricerca bibliografica con le scarse indicazioni, specialmente per le poesie di peso politico firmate con le iniziali.
Difficilissima la ricerca avviata dei suoi articoli su giornali.
Soddisfacente la ricerca sul lavoro parigino dal ‘34 al’39, e la bibliografia generale per quanto riguarda le traduzioni, libri e commedie.
2 “La nota” Virginia Piatti Tango non è ancora collegata allo pseudonimo Agar. L’identità di “Agar” viene scoperta dalla polizia politica dalla corrispondenza con Roberto Bracco, precisamente dalla lettera di Roberto Bracco del 26 settembre 1933 e da un biglietto intestato di Virginia Piatti Tango del 28 settembre. (ACS)
Archivio Tallone.
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