Silverio Riva: un matto d’arte di Gigliola Tallone dicembre 2010


Avrei voluto essere sola alla mostra commemorativa di Silverio Riva. Vedere le sue sculture solo io e lui, come spesso ci capitava. L’ho conosciuto da adolescente, Silverio qualche anno in più, due nomi, il mio floreale, e il suo, un raro nome che trova subito eco in silvestre, e la natura sì, era una passione condivisa, la natura vista con occhi d’artista, trasfigurata dai nostri sogni d’arte che ci avevano nutrito fin da bambini.
Veniva spesso ad Alpignano d’estate, le belle, lunghe vacanze trascorse a fare i tuffi nella Dora o in bicicletta su per la Valle di Susa. Qualche volta sul Musinè, che Silverio come uno stambecco conquistava, e mentre noi, gruppo dei normali, eravamo ancora nel sottobosco, lui ritornava fresco come una rosa, allegro e sghignazzante.
E ricordo le belle gite nella sua auto appena patentato - una Renault due cavalli malandata ma miracolosamente efficiente - arrancando verso la Sacra di San Michele, e le soste nei prati fioriti ad osservare forme eccentriche e curiose in continuo cambiamento, e chi meglio di noi due indovinava prima similitudini con persone e animali…ricordo che ci chiamavamo matti “matta più tu, no matto più tu”.
Spesso ci trovavamo nelle nostre case coi parenti e amici. Era ospite ad Alpignano dello zio, personaggio simpaticissimo e cultore d’arte, amico del mio indimenticabile zio Guido.
Ricordo come fosse oggi una tiepida notte trascorsa fino all’alba a parlare d’arte e di artisti.
Ero orgogliosa della loro conversazione, della cultura ricca e appassionatamente vissuta di mio zio già anziano e del mio amico Silverio, studente di Liceo, non solo colto ma pure lui appassionato.
E lui, con quella sua voce speciale, interrotta a tratti da una specie di singhiozzo, che a me pareva affascinate - un tic che a detta di Siverio era dovuto allo spavento dovuto a una bomba caduta vicino alla sua casa nella sua prima infanzia - viveva in modo sanguigno la sua passione.
Era all’epoca più dedito alla pittura, ma l’innato istinto plastico l’avrebbe poi indirizzato alla scultura. Ad Alpignano ci sono due bei pannelli ai lati della vetrina di un negozio di macelleria, forse una delle sue prime “commissioni”.
A Milano continuava la nostra frequentazione, in tempi larghi, come succede spesso agli amici che si vogliono bene, e rincontrarsi era una festa.
Nel suo studio di Corso Garibaldi, Silverio recente allievo dell’Accademia di Brera, avevo notato un bel manifesto di Graham Sutherland, una rappresentazione della natura come non avevo mai visto in pittura, surreale e nello stesso tempo di grande impatto plastico. Gli ho chiesto, e me ne ha fatto elogi straordinari, e credo adesso che l’incontro con quell’artista sia stato fondamentale per la sua arte, per quel suo istinto “silvestre” e per il rifiuto di staccarsi del tutto dalla figurazione, oltre che per l’innato fascino verso quella misteriosa e ineffabile matematica che sottende il mondo naturale visibile. Aveva un senso, quel nostro gioco di ragazzi, nei prati fioriti di Alpignano.
Da adulti ci siamo persi di vista, sapevo della sua docenza a Brera, ma nonostante frequentassi l’ambiente spesso, non ho mai pensato di entrare nella sua aula, a vederlo, ad abbracciarlo, e come me ne pento..! C’e sempre tempo, pensavo, ci sarà un’occasione per vederci presto.
Guardando alla mostra alcune sue opere che avevo visto da ragazza, ho provato un’infrenabile malinconia per non aver più qui con me un magnifico “matto d’arte” che ci ha lasciato - che mi ha lasciato - a 58 anni.
Tornerò a vedere la sua mostra, voluta fortemente dalla sorella Tiziana, e superbamente organizzata nello spazio della Fondazione Mudima.